Ornella Casazza intervista Marzia Banci

Ornella Casazza intervista Marzia Banci

Quando hai pensato che l’architettura e l’oreficeria sarebbero stati i cardini della tua creatività?


Da bambina, avevo appena cinque anni quando una voce da dentro mi ha affidato un compito che ho cercato di eseguire e di sviluppare crescendo. La voce mi ha suggerito: farai l’orafa e l’architetto. Con questo mandato sono cresciuta frequentando le scuole e i luoghi adatti a nutrire le due discipline. Sto ancora lavorando per questo. Con la mia curiosità ho cercato di indagare la struttura dei manufatti e la natura.



Dove hai vissuto i tuoi anni dell’infanzia e adolescenza?
Sono nata nel 1957 a Pergola in provincia di Pesaro. I primi cinque anni di vita li ho vissuti intensamente su una collina marchigiana a San Vito in una casa di campagna. Da una terrazza di quella casa vedevo l’infinito collinare che muta con le stagioni: grano, querce, tempesta di grandine, di neve, l’azione del vento e della luce.
In collina l’infinito è curvo, i tagli di luce che attraversavano le nuvole illuminano i “pezzi di terra”. Il vento sposta la luce, ero incantata e da questo ho ricevuto l’energia vitale che mi ha accompagnato sin qui!
Tutto era meraviglioso, mutevole, bellissimo. Mi rendeva gioia di vivere, amavo!
Pur bambina sentivo di amare quel luogo, ogni albero, ogni gallina, ogni mucca. Vivevo la sensazione di essere in un “giardino terrestre”.
La tazza di latte appena munto era un oceano di bontà (mentre lo dico sento ancora il suo profumo). Le mie parole oggi potrebbero sembrare esagerate.
No, è quel che ho percepito dal mio vissuto. Sono stata una bambina felice. Non posso omettere uno stato d’animo così intenso.
A quelle colline ho dedicato una collana dopo trent’anni quando ho dovuto dare una forma per colmare l’assenza di quel paesaggio. Il titolo è Infinito. Torno sul posto, tutto è dentro a quell’infinito che mi è eterno. Non sono senza terra, tutta la terra è anche mia.
Poi con la mia famiglia, quando avevo sei anni, siamo andati ad abitare al mare, proprio su quella frangia di terra che faceva da spiaggia al mare azzurro che in giornate particolarmente limpide, vedevo pur a 30 km di distanza.
In quella casa nuova ora potevo guardare il mare, le sue tempeste, stendermi al sole d’estate fare i bagni nella sua acqua. Tutta un’altra vita.
Ho imparato ad amare la “Bora di Trieste” così la chiamano a Fano. Quando spirava forte e io l’avevo contro tornando da scuola, piccola com’ero, mi stendevo prona suoi sassi della spiaggia, prendevo fiato e ripartivo. Amo quel vento! Mi sentivo un aquilone, i piedi sui sassi, le onde rumorose sulla battigia, io volavo con lo sguardo insieme ai gabbiani.
L’infinito intanto si era fatto retta, tutto il paesaggio era cambiato. Non ho dimenticato nulla, ho avuto modo di rielaborarlo con l’oreficeria.
Anche la poesia di Montale che ho sentito sui banchi di scuola a 13 anni, è diventata una collana in cristallo di rocca e brillanti. Ho dovuto smussare “i cocci di bottiglia” vivendo. Quando ho sentito che quei cocci non pungevano più la mia interiorità, ne ho fatta una collana preziosa (erano passati 20 anni).


Che rapporto hai avuto con la scuola?
Ho frequentato le scuole elementari con svogliatezza. Ero annoiata. Non mi piaceva stare su quel banchetto di legno per me scomodo. Ogni giorno sognavo di essere fuori sui campi, con gli animali, nel sole, nella pioggia. Che tristezza!
Invece ero li ad ascoltare guerre, grammatiche, ed espressioni numeriche. Ascoltare, ascoltare quella voce monotona del maestro Micucci.
Sono stata paziente. Non vorrei (potendo) tornare indietro negli anni, per non tornare a frequentare né le scuole elementari né le medie.
Erano brutte le architettura, avevano le stanze grigie e quel fiume ininterrotto di parole. Nessuna bellezza.
Quando si è vissuto in campagna e sulla riva del mare ci si rende conto della bellezza perché quello che abbonda di più li è: varietà e bellezza. La bellezza non è un oggetto che si guarda, che si ascolta non è un possesso chiuso in se stesso. Ma è l’energia che condivido col mondo rendendomi creativa ogni giorno. Non ho paura di vivere!
Ho frequentato con gioia l’Istituto d’arte Adolfo Apolloni di Fano. In quella scuola mi sono potuta esprimere nel disegno, nel laboratorio dei metalli. Li, ho raggiunto finalmente l’oreficeria, ero la prima ragazza nella storia dell’istituto a iscriversi a oreficeria nel 1971.
Il preside mi ha dato fiducia.
Tutto mi era congeniale, non solo ascolto, interrogazioni ma anche azione, ideazione e manualità. Dal terzo anno di scuola ho iniziato a frequentare, a lavorare presso un laboratorio orafo per imparare l’arte orafa. Preso il diploma di maturità in “arte dei metalli e dell’oreficeria” mi sono iscritta alla Facoltà di architettura a Venezia.
Stavo raggiungendo il secondo step della “comanda” che avevo ricevuto a cinque anni.
Stavo realizzando il mio progetto di vita.

Perché questa facoltà?
Oltre a quanto detto prima avevo capito che a me piaceva lavorare a progetto. Ogni cinque anni promuovo una nuova idea (delle idee che mi vengono in mente). Formo un percorso di studio e creazione capace di rendere “l’idea un progetto”.
Di fatto se rivedo ora il mio percorso vita, sono andata avanti esattamente così.
“L’architetto” è una figura culturale, molto antica. Il progetto prevede: l’ideazione e la progettazione la realizzazione. Tutto avviene in un crono programma.
Ogni progetto si forma su conoscenze pregresse e su incognite da indagare.
Il progetto è compimento dell’ideazione e punto di partenza per la realizzazione.
Mi rendo conto che sin da bambina questo è stato il passo che ha portato avanti la mia esistenza, la mia conoscenza.


La bellezza della natura come si manifesta nei gioielli?
La natura è sempre stata capace di darmi energia vitale, ho ricevuto il dono della fertilità che mi ha resa capace di esprimermi nei gioielli che realizzo.
Ho dedicato anni di studio: al ciclo delle stagioni, al vento, ai semi. Amo l’interiorità che si mostra esternamente nel sensibile. Ogni tema, ogni elemento prima di divenire gioiello passa al vaglio dell’approfondimento della comprensione, è portare alla luce .
Il concetto quando prende forma in un gioiello diviene sicuro di sé. È libero, libero da me e di me, è divenuto elemento di mondo.
A quel punto lo lascio al collezionista, a colei che ha deciso di indossarlo.
Il gioiello a cui do forma non esprime le mie emozioni, ma le “relazioni del mondo”. Non racconto il mio vissuto, ma quelle parti di mondo che recepisco, comprendo, traduco e torno a condividere per “conoscenza con il mondo”.
Geodetica, Parto, Il Cielo per una Stella, sono alcuni titoli delle collezioni che ho realizzato.
Le gemme e l’oro vengono dalle viscere della terra, la luce dal cielo. Il cielo è quello che mi interessa di più. “Portare alla luce” le pietre che diventano Gemma. Cosi il mio pensiero, il mio percepito, viene esposto alla luce.
È una perfezione che muta ogni secondo. Esserne consapevoli rende: l’armonia universale.

Quale opera d’arte del nostro passato ti emoziona?
È la pietà di Michelangelo che si trova nel museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze. È per me l’opera perfetta, esprime Amore. Non posso aggiungere altro. 
Poi c’è la Pietà Rondanini. Quella è la Creazione e la Creatura, è la catarsi della Creatura nella Creazione.

Hai mai pensato a queste Opere  nella creazione di un tuo gioiello o di una collezione?
Sono sculture talmente perfette che non mi permetto di immaginarle dentro le mie opere.
Quanto è vero che molte volte i miei gioielli esprimono la “catarsi del dolore del mondo”.
A volte la creazione di un gioiello mi crea un senso di struggimento. Ho la preoccupazione di non essere capace di tradurre col mio pensiero la vita dell’umanità.

Quali sono i materiali che costituiscono il filo conduttore della tua produzione?
Oro, gemme e argento. Ho provato a lavorare altri materiali ma non sono adatti, non risuonavano alla voce che canta il mio racconto.


Nel corso della tua vita di artista quali sono i valori dei materiali che scegli?
Da sempre lavoro oro e gemme, anche un po’ d’argento. Perché li preferisco? Il duttile e il malleabile dei due metalli a me servono per vivere.
L’oro è giallo per la velocità con la quale gli elettroni girano intorno al nucleo. Valori nascosti che risuonano mentre lo lavoro. I due metalli li sento, li percepisco nei polsi, ci passiamo lo spirito universale.
Poi arrivano le gemme, nude e specchianti, mostrano al loro interno la perfezione della creazione, sono colorate e complesse. Anch’esse hanno voglia di luce .
Tirate fuori dalla miniera, dalla ganga, lavorate dal glittico si mostrano esuberanti di bellezza, di colore, di perfezione, di trasparenza e purezza. Sono la natura che nutre la mia vita.
Ecco perché ho dedicato la mia vita alla ricerca per rispondere a quella ‘vocazione’ ricevuta da bambina.
Oggi riconosco che era veramente il destino a cui ho aderito.

Nella progettazione come ti muovi: fai un disegno? Un modello?
Il gioiello nasce da una riflessione scritta. Prima nasce uno scritto, poi realizzo col filo di ferro dolce il volume, la forma nelle tre dimensioni. Non disegno, non coloro, non ambiento. 
Col modello creo il vuoto, il volume indispensabile a contenere in modo invisibile: parole, spirito, amore.  Poi in laboratorio faccio il gioiello, veloce vuole nascere … fondo, lamino batto, do forma finché non è finito non mi fermo. Dopo alcuni giorni torno rivederlo, correggo (pochissimo) l’accetto com’è. Se regge alle mie critiche è libero
Sono nata nelle Marche vivo nel Veneto ma l’origine della famiglia Banci è toscana.
Il mio bisnonno Gerolamo Banci era toscano aveva acquistato un appezzamento di terra sulle colline marchigiane e ci si era trasferito con la sua famiglia. Noi ci siamo sempre sentiti toscani poiché i racconti, le storie di quelli più anziani spesso tornavano alla loro casa ai luoghi dove avevano vissuto. Un passato che ho nel cuore … eccomi …itinerante come senza terra … invece ho molti luoghi in cui vivere e mi sento a casa.

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